OLTRE I LIMITI DELLA BEHAVIOR BASED SAFETY (BBS)
E’ ormai assolutamente prioritario l’interesse delle aziende per il “fattore umano”, inteso come componente strategica del sistema di gestione della sicurezza sul lavoro.
Negli ultimi anni ciò si è spesso tradotto nell’interesse di molte aziende e addetti ai lavori per la BBS, acronimo di “Behavior Based Safety” o “sicurezza basata sui comportamenti”.
I programmi BBS vengono utilizzati per diminuire i comportamenti a rischio dei lavoratori, i quali sono spesso percepiti come causa principale di incidenti ed infortuni, focalizzandosi su quello che le persone fanno e perché lo fanno, individuando poi strategie di intervento tese a cambiare e modificare i comportamenti considerati “a rischio” o comunque errati.
La BBS affonda le sue radici nelle teorie comportamentiste (Tolman, Hull, Skinner) secondo le quali i comportamenti sono il risultato di apprendimento mediante rinforzi negativi (punizioni) e soprattutto positivi (premi), come avviene ad esempio quando si addestra un cane, premiandolo quando adotta i comportamenti auspicati, ad esempio con un bocconcino.
In una sequenza composta da (1) “antecedenti” (o attivatori) che inducono (2) “comportamenti” i quali portano a (3) “conseguenze” (queste tre fasi compongono il “modello a tre contingenze”, detto anche ABC).
Secondo la BBS si possono ottenere comportamenti desiderati (sicuri) sia agendo sugli antecedenti che, soprattutto, sulle conseguenze, rendendo queste ultime positive quando in linea con i comportamenti attesi, o negative quando si discostano da essi (nell’ambito della BBS normalmente i rinforzi positivi e quelli negativi sono dati da feedback verbali).
In estrema sintesi, un protocollo BBS si basa su 4 fasi: (1) definire i comportamenti osservabili attesi, (2) osservare per raccogliere dati prima dell’intervento, (3) intervenire per indirizzare i comportamenti verso quelli attesi e infine (4) misurare i risultati ottenuti.

Il comportamentismo, pur senza ambizione di protocollo scientifico, viene tutt’oggi largamente utilizzato come strategia educativa o come stile di leadership, essendo alla base dei paradigmi “comando – controllo”: si tratta banalmente di quello che conosciamo come sistema “bastone e carota”.
I programmi BBS sono certamente in grado di portare risultati, in particolar modo sul breve termine (v. Robinson e Geller), ma non esistono evidenze scientifiche solide sul successo di tali programmi sul medio – lungo termine: in particolare la maggior parte degli studi sulla BBS appaiono, agli occhi degli psicologi, lacunosi nell’analisi di informazioni correlate potenzialmente decisive, come i livelli di formazione dei destinatari, la “cultura della sicurezza” presente in azienda, gli stili di leadership, il coinvolgimento della Direzione, la definizione dei ruoli etc.
Le neuroscienze ci hanno insegnato che nessun animale ha una corteccia cerebrale e in particolare una corteccia pre-frontale sviluppata come quelli dell’essere umano: questo fa sorgere il dubbio che applicare uno schema comportamentista, che tenga conto solo del modello a tre contingenze su membri della nostra specie, possa essere limitato.
Va inoltre considerato che i risultati dei programmi BBS sono presumibilmente almeno in parte dovuti al fatto che, indirettamente, tali interventi incidono anche sul clima aziendale, sulle dinamiche di gruppo, sulla motivazione, sul “locus of control” di ognuno, sul senso di autostima e auto-efficacia e su molte altre variabili che il paradigma BBS di per sé non considera (o addirittura nega in casi di ortodossia estrema).
Pur non disconoscendo l’utilità che in certi casi o contesti possono avere gli interventi basati sulla BBS, è opportuno andare oltre e ampliare la visuale e le conoscenze per superarne i limiti della BBS, la quale dovrebbe essere vista come uno strumento a disposizione dei professionisti del “fattore umano” e non come la risposta ad ogni problema.
Per fare questo è necessario non concentrare l’attenzione solo sull’elemento umano, ma soprattutto sulle relazioni che questo ha con l’ambiente in cui si colloca, le quali influiscono sui comportamenti: le procedure, le prassi, le macchine e le attrezzature che si devono utilizzare quotidianamente, le dinamiche intra e inter-gruppo (v. Lewin), la formazione dell’individuo, la sua abilità fisica.
Questo approccio consente per giunta di scardinare la “cultura della colpa”, che affonda le sue radici nell’erronea convinzione che alla base di infortuni e incidenti ci siano soprattutto comportamenti errati. Va infatti tenuto presente che gli errori umani (che effettivamente sono di gran lunga la prima causa di incidenti ed infortuni al giorno d’oggi) nella maggior parte dei casi hanno cause-radice di tipo organizzativo: procedure e istruzioni carenti, scarsa formazione, attrezzature inadeguate, pressione psicologica, stress, stanchezza, leadership carente, scarso coinvolgimento della Direzione nel perseguimento degli obiettivi di sicurezza, scarsa padronanza delle competenze trasversali da parte dei lavoratori (comunicazione non assertiva, scarso senso critico, incapacità di gestire i conflitti).
Per andare oltre i limiti della BBS quindi è necessario che gli esperti in Sicurezza considerino molti più elementi: la motivazione, la percezione del rischio, la consapevolezza situazionale, la creatività, le abilità di problem-solving, l’esperienza, la qualità delle relazioni interpersonali. Tutti elementi non considerati dalle teorie comportamentiste ma invece considerati centrali dalle “scienze cognitive”.

In quest’ottica possono venire in nostro aiuto approcci meno semplicistici, ma anzi "sistemici". La SLT (Social Learning Theory) e la SCT (Social Cognition Theory), modelli sviluppati da Bandura, vanno esattamente in questa direzione: considerano i comportamenti umani in rapporto costante, simultaneo e indissolubile a molteplici altri elementi.
Per gestire questi elementi e ottenere quindi risultati sul medio – lungo termine è necessario adottare il “pensiero sistemico”, così riassumibile: (1) circoscrivere un perimetro sul quale si vuole e si può agire, (2) individuare gli elementi del sistema (tra le quali anche ma non solo i comportamenti umani), (3) identificare le connessioni rilevanti tra questi elementi (perché è in quelle che annidano i rischi!) per poi agire su di esse con strumenti costruiti su misura, migliorando l’organizzazione, il clima sociale e le competenze individuali in maniera mirata, specifica e misurabile.
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